L’81ª edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, che si conclude con il film “L’orto americano”, segna un momento significativo nella carriera di Pupi Avati. Fresco dell’approvazione per una Laurea Magistrale Honoris Causa in Italianistica da parte dell’Università Roma Tre, Avati riflette sull’importanza di Dante Alighieri, Benedetto Croce e Giovanni Pascoli nella sua vita e nella sua arte.
Pupi Avati ha recentemente ricevuto una notizia che ha riempito di gioia il suo cuore: il Ministero ha approvato la proposta di Laurea Magistrale Honoris Causa in Italianistica, avanzata dal Senato accademico dell’Università Roma Tre. Questo riconoscimento è stato richiesto dal Dipartimento di Studi Umanistici, in virtù della sua significativa carriera e del profondo impegno nella divulgazione dell’opera di Dante Alighieri. Il regista, che ha realizzato un film dedicato a Dante nel 2022, ha scelto di raccontare il suo percorso e il suo legame con la letteratura in un’intervista all’ANSA.
Avati ha condiviso quanto debba a Dante, affermando che non solo lo ha salvato, ma lo ha anche guidato verso una visione più profonda della vita. “Mi ha insegnato che l’unico modo per superare le difficoltà è l’arricchimento culturale e lo studio”, ha dichiarato, evidenziando come questo approccio lo abbia aiutato durante i momenti più difficili della sua vita. Avati ha parlato del suo passato da studente, quasi impossibilitato a progredire, finché non ha ricevuto supporto dalla madre, la quale ha saputo indirizzarlo nella giusta direzione. Grazie a Dante, ha compreso che la bellezza del sapere è la cura per ogni dolore.
Analizzando la vita di Dante, Avati ha tracciato un parallelo fra le esperienze del poeta e le sue. “Dante ha conosciuto il dolore fin dalla giovane età e ha affrontato prove incredibili”, ha affermato. La perdita della madre a soli cinque anni, il rapporto complesso con la matrigna e la passione non corrisposta per Beatrice sono solo alcuni dei traumi che lo hanno segnato. Questi eventi hanno plasmato l’opera del poeta, influenzando non solo il suo percorso artistico ma anche il modo in cui affrontava le avversità, passaggio che Avati sottolinea come cruciale nella propria crescita.
Dante, ritratto come un artista intriso di sofferenza e passione, ci mostra come attraverso l’arte si possa al contempo esternare e superare il dolore. La creazione della “Divina commedia”, avvenuta in circostanze drammatiche e proibitive, diventa il simbolo di una resistenza alla sofferenza, un esempio che Avati ha preso a cuore. “Il suo messaggio è chiaro: studiare e immergersi nella bellezza è un modo per affrontare qualsiasi situazione difficile”, ha concluso.
“L’orto americano”, il film di chiusura dell’edizione corrente della Mostra, rappresenta per Avati una pietra miliare nella sua lunga carriera. Il regista ha descritto quest’opera come un thriller gotico con elementi personali che riflettono la sua identità artistica. “Dopo 54 film, mi sono reso conto che finalmente stavo facendo cinema in un modo nuovo”, ha dichiarato Avati, rivelando come la scelta del bianco e nero abbia rappresentato una vera e propria rivelazione per lui come artista.
Per Avati, il bianco e nero non è solo una questione estetica, ma un modo per esplorare le emozioni più profonde e i conflitti interiori dei personaggi. In un contesto cinematografico contemporaneo dominato dal colore, la sua scelta di tornare a una palette più ridotta rappresenta non solo un omaggio ai grandi maestri del passato, ma anche una ricerca intima e autentica di bellezza e verità. “L’orto americano è un modo di reinterpretare la mia visione del mondo e di come il cinema può scoprire nuove strade”, ha affermato Avati, sottolineando il desiderio di rinvigorire la narrativa attraverso una prospettiva fresca.
La Mostra di Venezia ha accolto con entusiasmo quest’opera, che si distingue non solo per la trama avvincente ma anche per le profonde riflessioni sociali e personali che vi riversano le esperienze di vita dell’autore.